Monthly Archives: settembre 2015

Cinema

72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica – Venezia 2015

Terza Puntata: Anatomia di un Palmarès

di Filippo Zoratti

Mettiamola così: solo il tempo – forse – saprà dirci se il trionfo dell’America Latina alla 72a Mostra del Cinema di Venezia sia stata una scelta lungimirante o scandalosa. Solo il tempo, e una riflessione a mente fredda, potrà dare senso ad un colpo di teatro che di primo acchito è parso a tutti straordinariamente folle e fuori misura. Il direttore Barbera, ad inizio festival, lo aveva anche annunciato: le vere sorprese della selezione sarebbero state le opere provenienti dal Sudamerica, in quanto artefici del cinema più interessante in circolazione. È vero, ma mai avremmo neanche lontanamente sospettato che un presidente di giuria messicano (l’Alfonso Cuarón di “Gravity”) potesse piazzare ai posti più alti del podio una pellicola venezuelana e una argentina. Due lavori – “Desde allá” di Lorenzo Vigas e “El Clan” di Pablo Trapero – che al momento è davvero difficile giudicare per il loro reale valore, estrapolandoli cioè dal contesto in cui sono emersi.

 

Il pubblico festivaliero (giornalisti, addetti ai lavori, studenti di cinema e appassionati) che ha gridato al golpe ha però la memoria breve, perché la storia della Mostra è costellata di campanilismi: senza allontanarci troppo basti pensare a Zhang Yimou che nel 2007 premia “Lussuria – Seduzione e tradimento” di Ang Lee, a Quentin Tarantino che nel 2009 impone “Somewhere” della sua ex compagna Sofia Coppola e a Bernardo Bertolucci che nel 2013 incensa il documentario “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi. Tutti i pronostici dovrebbero tenere conto che a sentenziare sui film in gara non è un gruppo di esseri umani angelicamente super partes (che non esiste), ma un manipolo di professionisti emotivamente o amichevolmente coinvolti. Il mosaico del palmarès veneziano sembra oltretutto composto da altri passaggi obbligati, che a volte muta nel corso degli anni – l’era Müller con il suo codazzo di Leoni asiatici – e altre volte permane granitico con lo scorrere dei lustri: se la selezione dei film italiani ad esempio è di bassa o controversa qualità, inevitabilmente una gratifica arriverà da un premio collaterale (in particolar modo dalle Coppe Volpi, fermo restando che il riconoscimento di quest’anno a Valeria Golino per “Per amor vostro” è inattaccabile); se in concorso ci sono grandi cineasti ancora orfani di Orsi, Palme o felinidi nelle loro bacheche, è altamente probabile che prima o poi verranno giustamente o meno risarciti. In questo caso vige quasi una logica di “prelazione”: il festival che per primo consacra il wannabe Maestro della Settima Arte sa che poi quell’autore sarà portato ad avere un occhio di riguardo verso la kermesse che lo ha imposto all’attenzione mondiale. A Venezia, nelle ultime edizioni, è successo così per Sokurov con “Faust”, per Kim Ki-duk con “Pietà”, per Roy Andersson con il suo “Piccione seduto su un ramo”. E abbiamo logicamente pensato che potesse accadere lo stesso anche stavolta, consci della qualità di opere quali “Rabin, the Last Day” di Amos Gitai e “11 Minutes” di Jerzy Skolimovski. Ci siamo totalmente sbagliati o, meglio, la giuria ha stupito tutti, incoronando una insospettabile opera prima e un solido thriller tratto da una storia vera. Non è dato sapere – come dicevamo prima – se si tratti di colpo di genio o di vergognoso tonfo, ma per ora ci si potrebbe accontentare di una vaga speranza: a dispetto della regola che vuole i premiati della Mostra putualmente ignorati dal pubblico in sala, il trio “Desde allá” – “El Clan” – “Anomalisa” (Gran Premio della Giuria) potrebbe segnare una clamorosa inversione di tendenza. Offrendo nuovo credito ad una delle classifiche più odiate degli ultimi anni.

Filippo Zoratti

 

I PREMI UFFICIALI DI VENEZIA 72

Leone d’Oro per il miglior film a “Desde allá” di Lorenzo Vigas

Leone d’Argento per la migliore regia a “El Clan” di Pablo Trapero

Gran Premio della Giuria a “Anomalisa” di Charlie Kaufman e Duke Johnson

Premio Speciale della Giuria a “Abluka (Frenzy)” di Emin Alper

Coppa Volpi femminile a Valeria Golino per “Per amor vostro”

Coppa Volpi maschile a Fabrice Luchini per “L’hermine”

Premio Marcello Mastroianni (attore emergente) a Abraham Attah per “Beasts of No Nation”

Premio per la migliore sceneggiatura a “L’hermine” di Christian Vincent

Leone del Futuro – Premio Opera Prima a “The Childhood of a Leader” di Brady Corbet

Leone d’Oro alla carriera a Bertrand Tavernier

Premio Orizzonti per il miglior film a “Free in Deed” di Jake Mahaffy

Premio Settimana della Critica a “Tanna” di Martin Butler e Bentley Dean

Premio Giornate degli Autori a “Early Winter” di Michael Rowe

Cinema

72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica – Venezia 2015

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Leone d’Oro al venezuelano “Desde allà”

Alla 72a Mostra del Cinema di Venezia   vince il Leone d’Oro il film venezuelano  Desde allà – Da lontano,  diretto da Lorenzo Vigas. Questo film racconta la storia di un  tormentato rapporto omosessuale tra un uomo di mezza età (Alfredo Castro) e un giovane teppista (Luis Silva) di Caracas. il film è stato preferito dalla giuria ai concorrenti dati per favoriti come Gitai e Sokurov. Il regista Lorenzo  Vigas ringrazia e lascia il palco gridando “Viva Venezuela”.

 

Cinema

72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica – Venezia 2015

Seconda Puntata: Gli Orizzonti della Mostra

 di Filippo Zoratti

Come era facilmente intuibile, il tridente formato da Sokurov (“Francofonia”), Gitai (“Rabin, the Last Day”) e Skolimovski (“11 Minutes”) ha risollevato quasi in toto le sorti del Concorso. Ci si rifà insomma ai grandi veterani, con la netta sensazione che sia arrivato il turno di Gitai per quanto concerne il Leone d’Oro: il suo “Rabin”, racconto di uno degli episodi più drammatici della storia israeliana, tocca tutte le corde necessarie per mettere a tacere le polemiche. Chi si ricorda il trionfatore dell’anno scorso – il bistrattato “Piccione seduto su un ramo” di Roy Andersson – sa che si tratta quasi di un percorso obbligato, nel momento in cui un grande autore decide di essere presente al Lido invece che a Berlino o Cannes, o magari Toronto. Un algoritmo che tutti conoscono ma di cui non si può parlare, che prevede anche lo step di un premio ad un film italiano e almeno un riconoscimento ad un’opera asiatica. Sul primo punto, solleviamo grosse perplessità: nessuno dei quattro italiani pretendenti sembra assolutamente potersi meritare un leoncino, un Gran Premio o una Coppa Volpi; mentre per quanto riguarda l’Oriente le speranze sono tutte riposte sul doc cinese “Behemoth”, poema civile allegorico che pure sembra essere tra gli outsider più quotati. La riabilitazione del documentario è stato uno degli scatti più significativi della gestione Barbera, come dimostrano i successi di “Sacro GRA” due anni fa e di “The Look of Silence” nel 2014. Indipendentemente dal futuro del medesimo Barbera (che con questa edizione chiude il suo quadriennio) non si possono non tenere in considerazione i cambiamenti apportati dal suo “basso profilo”: bando alla sovraesposizione panasiatica, occhi più aperti al mainstream e presa di coscienza dell’importanza dei nuovi media. Se quest’anno Venezia ha mancato l’appuntamento con le mini-serie, è altresì vero che in gara la presenza di “Beasts of No Nation” ha segnato un nuovo passaggio: oltre alla direzione di Cary Joji Fukunaga (quello di “True Detective”), la pellicola si segnala per la produzione e la distribuzione on line da parte di Netflix. Al di là del valore intrinseco del film in questione, l’accettazione di un prodotto del genere scuote dalla polvere che quasi per definizione ammanta l’idea stessa di kermesse festivaliera. Come già scritto nei giorni scorsi però, quello di Barbera non è di certo stato un percorso netto, ed è proprio in questa 72a annata che un nodo è venuto al pettine: lo scollamento fra le varie sezioni, totalmente prive di omogeneità. Tralasciando le “autonome” Giornate degli Autori e Settimana della Critica, il dramma si è consumato nella abnorme differenza di qualità proposta dal concorso e dai benemeriti Orizzonti. La scelta delle opere in gara sembra ormai aver ceduto alla mera funzione di vetrina, di facciata luccicante di cui parlare sulle prime pagine dei giornali e di cui poi dimenticarsi. Il Concorso 2015, purtroppo, non lascerà traccia di sé, semplicemente perché non ha assurto al suo ruolo di “termometro” dello stato del Cinema. Una caratteristica che si riscontra invece pienamente nei collaterali Orizzonti, mai come quest’anno degni di menzione: al posto dei bolsi “Equals” e “The Danish Girl” (buoni per un Fuori Concorso) ci sarebbero potuti tranquillamente stare l’iraniano “Wednesday, May 9”, l’israeliano “Mountain” e il danese “A War”. Sarebbe auspicabile trovare una maggiore coesione fra la prevedibilità dell’uno e l’innovazione dell’altro, un equilibrio “identitario” di comprensibile e ardua realizzazione ma di cui qua e là si intuiscono solide tracce. Il sottoscritto punta fortissimamente sui più che marginali “Heart of a Dog” di Laurie Anderson e “Desde Allà” dell’esordiente Lorenzo Vigas: perché più dei maestri sopraccitati darebbero senso alla poliedricità – tentata e non riuscita, ma necessaria – di Venezia 72.
Filippo Zoratti

Cinema

72. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica – Venezia 2015

Prima Puntata: Scalando l’Everest (delle critiche)

di Filippo Zoratti
 

Dovessimo seguire i “suggerimenti” di Alberto Barbera, con la 72. Mostra del Cinema di Venezia saremmo di fronte ad una selezione destinata ad accontentare tutti, dal pubblico festivaliero tout court ai fruitori occasionali o più amanti del mainstream. Questa affermazione – desunta da un’intervista rilasciata nei giorni precedenti all’avvio – contiene un fondamento di verità: questo è l’anno del rilancio glam, della riaffermazione di una caratteristica spesso scippata al Lido da altre kermesse maggiormente “di tendenza”. Lo si capisce dal numero fittissimo di star da red carpet, di nomi di richiamo soprattutto per i giovani fan desiderosi di attendere giornate intere pur di avere l’autografo o il selfie con il proprio beniamino. Se è vero che – come diceva Walt Whitman – l’essere umano e le opere del suo ingegno sono per forza di cose destinate a contenere moltitudini, mai come in questa edizione numero 72 si avverte la sensazione di una selezione divisa a compartimenti stagni fra le sue sezioni, a tratti persino schizofrenica. Il tiro al bersaglio nei confronti della Mostra è da sempre uno degli sport preferiti degli addetti ai lavori presenti alla manifestazione, ma chi si è fin da subito scagliato contro la mediocrità del film di apertura “Everest” (mediocrità relativa, si tratta pur sempre di un blockbuster a cui ben poco si può chiedere dal punto di vista qualitativo) si è giocato il jolly della stroncatura troppo presto, forse ingannato dalla nobile scelta di mettere in pre-apertura i restauri di Orson Welles. Per il Concorso e il Fuori Concorso, almeno a giudicare da questi primi cinque giorni, sembra non esserci ormai più speranza: sono territori destinati alla facciata, al richiamo dei lanci ansa e degli strilli di copertina. Emblematico il caso di “Equals”, bigino fantascientifico impresentabile utile solo per la presenza appunto di superficiale interesse dei piccoli divi Kristen Stewart e Nicholas Hoult. Film privo di qualunque innovazione, votato al target degli adolescenti da multisala del sabato sera: eppure film regolarmente in gara per il Leone d’Oro, così come lo è “The Danish Girl” di Tom “discorso del re” Hooper, probabilmente votato al saccheggio dei prossimi Oscar in virtù della presenza del lanciatissimo Eddie Redmayne e di una tematica socio-culturale inattaccabile (la storia vera della prima persona transessuale a cambiare chirurgicamente sesso, nel 1930). Fossero eventi collaterali o extra non faremmo una piega, e infatti non la facciamo dinnanzi al convenzionale Black Mass di Johnny Depp. Ma così l’attenzione mediatica passa tutta attraverso operazioni commerciali trascurabili, mentre (non siamo i primi a dirlo) altrove ci sarebbero cinematografie tutte da scoprire: come già accaduto in passato, la sezione Orizzonti sembra il nuovo e “reale” concorso, quella che segnala – nel bene e nel male – le tendenze del cinema presente e futuro. La scarsa considerazione che hanno ricevuto l’israeliano “Mountain”, il danese “A War” e l’iraniano “Wednesday, May 9” dovrebbe far riflettere, mentre si comprende perfettamente che la presenza nella selezione ufficiale di alcuni grandi maestri come Sokurov, Gitai e Skolimowski è quasi un tributo necessario per ridare spessore e per ristabilire i toni “qualitativi” dell’evento, che paradossalmente stona con l’andazzo generale: la “Francofonia” del sopraccitato Sokurov ad esempio risulta quasi un oggetto alieno indefinibile, come fosse lui fuori contesto invece di tutto il resto. Impossibile fino a questo momento non definire il percorso di Venezia 72 che in un modo: accidentato, dissociato. Ovvero il rovescio della medaglia luccicante mostrata in tempi non sospetti dalla Biennale, quando si parlava di una Mostra imprevedibile ed eccentrica. Per il momento della totalità di sguardo auspicata allora non c’è traccia, ma vale la pena concedere il beneficio del dubbio: c’è ancora molto da dire e molto da vedere.

Filippo Zoratti