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Cinema Libri

36° Premio “Sergio Amidei”

parco_coronini

Amidei 2017
La scrittura, prima di tutto

di Filippo Zoratti
 

Da ormai quasi 40 anni il Premio “Sergio Amidei” di Gorizia indaga il mondo della Settima Arte attraverso l’osservatorio privilegiato della scrittura. Il nume tutelare Amidei – sceneggiatore fra gli altri per Rossellini, De Sica e Scola – guida come un faro, anno per anno,

Cuori Puri

Cuori Puri

le scelte dei curatori, attraverso programmi più pop destinati al grande pubblico e sezioni più sotterranee e articolate. Così, se il fiore all’occhiello resta sempre il ciclo di proiezioni serali al parco Coronini-Cronberg (sette titoli in gara per il Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura, i più meritevoli durante l’anno appena passato, con un occhio di riguardo alle produzioni italiane), è nelle sezioni collaterali proposte al Kinemax che si aprono percorsi imprevisti più apertamente cinefili. È una necessità che si fa virtù, considerando la retrospettività della manifestazione: tutto ciò che viene proposto all’Amidei è già stato in qualche modo distribuito, al cinema o attraverso altri canali. La nostra attenzione quest’anno si è in particolar modo orientata verso lo “Spazio Off”, categoria umbratile capace di affrontare di volta in volta i vari volti del cinema underground, e verso “Arcipelago”, tema votato alla creazione di un immaginifico ponte tra le isole del nostro Stivale. Dopo il cinema indie americano, l’indagine sull’outsider Tonino De Bernardi e l’immersione nella produzione horror italiana, lo “Spazio Off” curato da Roy Menarini ha

La tenerezza

La tenerezza

fatto breccia con un pugno di titoli recenti che indagano la religiosità: “Cuori puri”, esordio alla regia di Roberto De Paolis e colpo di fulmine della selezione; i veneziani “Liberami” e “Indivisibili”, passati entrambi – appunto – a Venezia 73; “Uomini proibiti”, documentario di inchiesta di Angelita Fiore che affronta lo “scabroso” tema dei preti che rinunciano ai propri privilegi per crearsi una famiglia. Meno immediato l’aggancio con l’“Arcipelago” costruito da Andrea Mariani, ma non meno soddisfacente, grazie alla riscoperta di un gruppo di pellicole ingiustamente dimenticate: da “Il grido della terra” di Coletti ad “Agostino” di Bolognini, fino al recente “L’attesa” di Piero Messina. Di scrittura hanno poi ovviamente parlato anche i tre ospiti principali dell’edizione: Silvio Soldini, che ritirando il Premio all’Opera d’Autore ha annunciato l’uscita di un suo nuovo film a settembre (sarà in

Memorie di un cinefilo

Memorie di un cinefilo

concorso a Venezia?); Francesco Bruni, cicerone del Premio alla Cultura Cinematografica andato quest’anno ai ragazzi del cinema America di Roma e alla loro strenua lotta per il recupero delle sale di quartiere; l’autoironico Gianni Amelio, vincitore del Premio Amidei 2017 con “La tenerezza”, ottenuto secondo lui “per sfinimento”. Un paniere ricco, come ogni anno, anche se mancante di un tassello importantissimo: la presenza di Nereo Battello, Presidente dell’Associazione culturale “Sergio Amidei”, venuto a mancare a febbraio di quest’anno. Un amico e amante della Settima Arte, cui poco più di un anno fa era stato dedicato il volume “Memorie di un cinefilo”, approfondito sunto – in forma di intervista e di recupero della sua produzione critica – di una vita dedicata con passione allo studio del cinema. Un personaggio che mancherà a Gorizia, al Premio Amidei e in generale alla cultura nazionale.

Filippo Zoratti

Cinema

54. Vienna International Film Festival – Viennale 2016

Il cinema della verità, la verità del cinema

di Filippo Zoratti

Idealmente introdotta dal – non irresistibile – trailer del festival “Cinéma Vérité” diretto da Klaus Wyborny (regista d’avanguardia tanto conosciuto e apprezzato in Germania e Austria quanto carneade nel resto d’Europa) la sezione dedicata ai documentari è stata la più efficace a delineare solidi percorsi di senso e contenuto, all’interno del ricco paniere di programmi speciali, focus e retrospettive proposto come ogni anno dalla Viennale. È nel discusso “Homo Sapiens” di Nikolaus Geyrhalter che possiamo forse individuare l’ariete da sfondamento del gruppo (sono ben 70 le pellicole proiettate), successione di immagini che potrebbero essere state prese da un film di fantascienza ambientato sul pianeta Terra dopo l’apocalisse. E invece il protagonista è il mondo devastato di oggi, o meglio è l’uomo e la scellerata distruzione di cui è inopinatamente capace. Palazzi abbandonati, cinema, scuole, prigioni, parchi divertimento: al centro della cinepresa di Geyrhalter c’è l’abuso che l’homo sapiens – appunto – impone alla natura, senza dialoghi e movimenti di macchina. Una serie impietosa di tableaux vivants dal terribile impatto visivo, ai quali non è necessaria alcuna introduzione. Una presa di coscienza che è anche un monito, e questo ci sembra uno dei fil rouge più evidenti della selezione, attraversato da altri “incubi” di differente collocazione geografica ma portatori del medesimo messaggio: come “Eldorado XXI”, che racconta le condizioni di vita dei lavoratori di una miniera d’oro nel sud-est del Perù; o come “Furusato”, amara ricognizione di ciò che è rimasto a Fukushima dopo il disastro – terremoto più tsunami – che ha portato a quattro devastanti esplosioni nella centrale nucleare omonima. Da un lato il cammino di auto-distruzione degli esseri umani, stravolti dall’illusione dell’arricchimento a scapito di un ambiente sfruttato senza soluzione di continuità; dall’altro una riflessione sui pro e i contro della corsa al progresso, spesso più importante dei rischi e dei sacrifici legati ad essa. E al centro l’uomo, incapace di controllare se stesso e di ragionare sulle conseguenze delle proprie azioni. Dall’universale al particolare, il “cinema della verità” può essere declinato anche attraverso le istanze del biopic, dell’istantanea biografica e celebrativa di personaggi che a modo loro hanno fatto la storia o hanno contribuito a renderla migliore. Personalità riconosciute all’unanimità o destinate a lavorare sottotraccia, e quindi per questo persino più interessanti: se Joao Botelho fotografa l’arte di Manoel de Oliveira con “The Cinema, Manoel de Oliveira and me”, Salomé Jashi riprende in “The Dazzling Light of Sunset” le avventure dei giornalisti georgiani Dariko e Kakha, uniche fonti d’informazione nella remota città di Tsalenjikha; se Hervé Martin-Delpierre ricostruisce la mitologica carriera dei Daft Punk in “Daft Punk Unchained”, Maya Abdul-Malak (“Des hommes debout”) omaggia l’anonimo proprietario di un call shop a Parigi, piccola patria per gli immigrati mediorientali che grazie alle tre cabine telefoniche del locale possono chiamare i loro lontani familiari. Le visioni non filtrate del documentario ci condannano, palesando con l’inconfutabilità della ripresa “reale” la nostra limitatezza; ma al contempo ci salvano, ricordandoci quanto e cosa siamo capaci di costruire artisticamente e umanamente. Ancora una volta ci chiediamo (magari di fronte all’”Austerlitz” di Sergei Loznitsa): esiste testimonianza migliore della verità offerta dal cinema?

Filippo Zoratti

 

Arte Musei videomaker

MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino

DIGITAL FLOWS

Gianluca Abbate, Miguel Andrés, Barbara Brugola, Katharina Gruzei, Hwayong Jung, Cristina Ohlmer, Marta Roberti, Rimas Sakalauskas

A cura di Visualcontainer, Milano.

MACT/CACT

5 marzo – 3 aprile 2016

Ve-sa-do dalle 14:00 alle 18:00

DIGITAL FLOWS è la mostra che apre la stagione 2016. A cura di Visualcontainer Milano, l’esposizione rappresenta anche un omaggio all’instancabile lavoro di questo archivio video, che – per qualità dell’impegno e parallelamente allo spazio off [.Box] – si insinua nelle pieghe talvolta sterili delle istituzioni museali più accreditate. Nato nel 2008 nel cuore di Milano, Visualcontainer è diventato una sorta di showcase fondamentale per l’archiviazione e presentazione di un linguaggio ancora molto liquido e ancora fortemente in evoluzione quale il video d’artista. L’approccio internazionale e la visione globale dei suoi responsabili lo hanno alzato a luogo privilegiato, quasi una sorta di Archiv und Kunsthalle del linguaggio video nel centro della capitale economica d’Italia, solidificatisi più per i loro contenuti, che per un approccio di tipo, appunto, istituzionale.

Dagli anni 1970, il mezzo video ha subito innumerevoli cambiamenti, per così dire, di transito, passando dall’ipoteca visual-performativa all’ibridazione con l’allora prepotenza del mezzo televisivo-catodico, laddove l’universo pubblicitario entrava a forza nel mercato dell’immagine, parassitando l’arte video e il linguaggio artistico a tal punto da superarlo in molti casi e inducendo gli autori a riformulare giustamente l’approccio, spesso cannibalistico, al mezzo di produzione stesso.

Come la fotografia, anche il video è lo specchio documentativo più immediato del reale che ci circonda e che ci frammenta nella trans-identità del globale.

Dall’epoca, nella quale il video rappresentava la sperimentazione e una risposta antitetica all’esperienza visuale di radice pittorica (fine degli anni 1960), nell’epoca odierna del ‘già tutto sperimentato’ il nuovo è dato proprio e paradossalmente dalla recrudescenza del digitale, che intride la nostra esistenza di un comunicazionismo socio-global non per forza richiesto, ma che induce altresì a un nuovo modello estetico.

DIGITAL FLOWS (Flussi Digitali) intende proprio delineare e mettere in luce quest’ultima fase della produzione video.

Così si esprimono i curatori di Visualcontainer, Alessandra Arnò e Paolo Simoni, sulla mostra e sulle loro scelte curatoriali.

Miguel Andrés (Spagna,1982) System, 2014

[…] “L’immagine nella sua trascendenza digitale ora è immateriale, è un bit, un fascio di luce, risiede tra le nuvole, passa veloce attraverso la rete dei dati.

Cosa ci resta quindi della sua “inconsistenza” e cosa ci attrae verso l’immaterialità dell’immagine video, che sia forse il suo potere evocativo e illusorio?”

DIGITAL FLOWS è un flusso visivo che porta lo spettatore a sperimentare diversi livelli di consapevolezza alla visione attraverso un percorso installativo che parte dall’apice della fascinazione visiva del dato numerico, passando allo spaesamento tra reale quotidiano e panorami digitali, fino al palesarsi della condizione dello spettatore stesso attraverso la simulazione della propria rappresentazione.

La prima opera in mostra di Miguel Andrés, SYSTEM, rappresenta infatti una sorta di specchio, dove è possibile confrontarsi con un ipotetico uomo – macchina futuro, dove l’esperienza sensibile viene sostituita da quella tecnologica precompilata.

La bellezza sintetica è rappresentata attraverso le forme autogenerative dei paesaggi perfetti dell’opera EUPHORIA di Hwayong Jung. L’eleganza delle formule frattali che simulano il concetto di auto-similarità presente nel mondo reale, diventa una sorta di trappola per lo sguardo, che porta all’apice della fascinazione visiva e all’immersione totale in questi scenari digitali.

La sala espositiva diventa quindi luogo deputato “all’apparizione” e “manifestazione” dell’algoritmo numerico che manipola il dato reale attraverso una continua simulazione casuale di forme immateriali perfette.

Hwayong Jung (South Korea/USA, 1979)
Euphoria, 2014

 

L’occhio viene nuovamente ingannato dalla rassicurante rappresentazione della quotidianità nell’opera di Rimas Sakalauskas. SYNCRONIZATION svela strutture che inaspettatamente ri-fuggono dalla solita collocazione urbana. Lo scenario reale poco a poco cambia forma e la rassicurante stabilità del paesaggio urbano si anima, cambia connotazione e si trasforma in una rampa di lancio verso l’ignoto. L’oggetto reale torna al mondo “virtuale” delle idee con un moto inverso.

La perfetta rappresentazione del mondo contemporaneo viene editata come un continuo fluire di situazioni e scenari nell’opera PANORAMA di Gianluca Abbate. La rielaborazione digitale restituisce il melting pot contemporaneo in tutta la sua caoticità, stratificando livelli e paesaggi senza alcun confine in un unico flusso irrefrenabile di immagini del mondo globale.

Barbara Brugola
(Italia, 1965)
Lapse of View, 2012

Se le precedenti opere audiovisive giocano sullo spaesamento, LAPSE OF VIEW di Barbara Brugola ispirata all’opera ‘Viandante sul mare di nebbia’ di Caspar David Friedrich, fornisce un momento di riflessione sul visivo, un ritorno alla “vera” visione, esattamente come la protagonista dell’opera che osserva l’orizzonte, in silenzio, in attesa ed immersa nel bianco. Questo è un momento intimo di confronto con la realtà e con la sospensione dello sguardo.

Si ritorna fortemente al reale, alla visione e alla storia dell’arte visiva.

Ispirato alla pellicola dei Fratelli Lumière, WORKERS LEAVING THE FACTORY (AGAIN) di Katharina Gruzei, mostra degli operai che escono dalla fabbrica. Una sorta di quarto stato contemporaneo dove l’individualità diventa corpo collettivo. Gli operai potrebbero essere uomini, automi, schiavi, ad ogni modo sono attori nell’industria globale, come gli operai rappresentati dai Lumière sono attori dell’industria dell’immagine.

L’opera è quindi un ulteriore specchio di “riflessione” sulla condizione contemporanea sia in ambito sociologico che digitale.

Il percorso espositivo si estende inoltre su schermi e device, che inaspettatamente diventano da oggetto di uso quotidiano a luogo di apparizione di opere che riabituano l’occhio all’esercizio della visione come l’opera PIXEL MOTION di Cristina Ohlmer. Il quadretti colorati di un quaderno diventano l’unita di misura digitale, il pixel. Attraverso dieci esercizi di stile, il candido manto della foresta nera diventa pretesto per ricontestualizzare il ruolo del pixel e del digitale nello spazio analogico naturale.

Allo stesso modo, SCARABOCCHIO, opera di Marta Roberti, ripropone un’animazione classica sullo schermo di un dispositivo di uso quotidiano, che in questa occasione diventa memento digitale tascabile per questo ibrido umano-insetto, che tenta di ristabilire il proprio equilibrio.

Il cerchio espositivo si chiude e si riapre con opere-specchio, dove è possibile “riflettere” sulla condizione esistenziale, per poi abbandonarsi ai piaceri visivi. DIGITAL FLOWS gioca quindi sulla fascinazione visiva, sulla sospensione dell’incredulità e la rielaborazione del dato reale in chiave digitale, aprendo molteplici livelli di lettura sia sull’uso della tecnologia e il nostro rapporto con essa, che sul potere evocativo e illusorio.

Alessandra Arnò, 2015 […]

Mario Casanova, 2016

MACT/CACT
Arte Contemporanea Ticino

Direttore Mario Casanova
Coordinatore Pier Giorgio De Pinto

via Tamaro 3
CH – 6500 Bellinzona
Switzerland

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Il dentista le origini – diretto da Souleymane Kane e scritto da Davide Borgobello

Il dentista le origini

Prequel de “Il dentista” . Torna Umberto Minichini .

Il dentista 2 – le origini è un prequel/ sequel de “Il dentista”, sempre diretto da Souleymane Kane  con protagonista Umberto Minichini nel ruolo del dentista “Il Dottor Guidi”.  In questo episodio il regista Souleymane Kane ci porta alle origini del male, quando una scelta era ancora possibile e ci porta ad un finale grandioso, lasciandoci col fiato sospeso in attesa del capitolo conclusivo. Anche stavolta la sceneggiatura è scritta da Davide Borgobello.

Una produzione SJK Productions
Un film di Souleymane Kane
Sceneggiatura di Davide Borgobello
Soggetto di Souleymane Kane
Con Umberto Minichini, Barbara Dall’Armi, Rita Esposito, Claudia Russo e Cinzia Visentini, Alessandra Mauro, Daniel Sferragatta.
Musiche di Kevin MacLeod e Marco Tonutto
Casting di Claudia Russo
Fotografia e Montaggio di Souleymane Kane
Color correction di Marco Tonutto
Prodotto da Souleymane Kane, Umberto Minichini e Melissa Alcantara
Regia di Souleymane Kane

fonte: http://www.youtube.com/user/SJKProduction

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OBSOLESCENZA PROGRAMMATA

OBSOLESCENZA PROGRAMMATA – Il motore segreto della nostra società di consumo

Francesco Bevilacqua nell’articolo ” Consumi. Come difendersi dall’obsolescenza programmata” apparso il 14 agosto 2013  su “Il Cambiamento” definisce così l’obsolescena programmata: “Sono diversi i fattori che rendono obsoleto un bene e molti di essi possono essere pilotati, cioè prestabiliti da qualcuno che ha interesse a determinare con buona precisione la durata della vita di un bene. Eccoci così giunti al concetto chiave, che può essere riassunto in due semplici parole: obsolescenza programmata, anche se oggi designer, progettisti e pubblicitari preferiscono usare il più elegante ‘ciclo di vita del prodotto’”.

Nel bellissimo documentario di Cosima Dannoritzer intitolato Comprar, tirar, comprar – La historia segreta de la obsolescencia programada, una produzione Article Z (Francia Media) e  3.14  (Barcelona) per le televisioni  Arte (Francia), TVE e Televisió de Catalunya , viene spiegato come la nostra società si basa sul fatto che tutti i prodotti devono avere una vita limitata: lampadine, calze di nylon, stampanti per computer, telefonini, Ipod. Le società produttrici chiedono ai loro ingegneri di prevedere in anticipo quanto tempo resisteranno gli articoli prima di rompersi e tutto il sistema incoraggia i consumatori a acquistarne dei nuovi.

 

Link e fonti: http://la2.rsi.ch/home/networks/la2/cultura/La2Doc/2013/05/14/la2doc-20-mag.html
Daniele Pernigotti: La stampa “Una società dei consumi a obsolascenza programmata
Francesco Bevilacqua: Il Cambiamento “Consumi. Come difendersi dall’obsolescenza programmata

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Souleymane Kane – Il dentista

 

Il dentista

Ospitiamo l’ultimo corto del filmmaker Souleymane Kane intitolato Il dentista.

Un dentista fa dei lavori ad un prezzo molto conveniente, ma ben presto i suoi clienti scopriranno il caro prezzo della convenienza….

Souleymane Kane nasce a Brazzaville nel 1988. Vive e lavora a Udine.