Le Quattro Volte

Le Quattro Volte
di Michelangelo Frammartino, Italia 2009, con Giuseppe Fuda

 

Polvere alla polvere, nel bicchiere di un vecchio pastore.
Cenere alla cenere, ciò che resta del carbone quando brucia.

Eppure nel secondo lungometraggio di Michelangelo Frammartino, vincitore del premio Quinzaine al Festival del Cinema di Cannes 2010, la fine non è mai definitiva. È qualcosa che ritorna, in quel moto circolare che è il tempo e il respiro del film: come la tosse che avvicina la morte e la avversa, il belato del capretto perso nella neve, i colpi che abbattono l’albero e la pala dei carbonai. Le quattro volte è un film di rumori ostinati, in cui i suoni raccontano e lo fanno meglio delle parole urlate di troppi film italiani.
È un film del ‘noi’ e dell’ ‘intorno a noi’. Quattro vite e una sola, con al centro l’uomo. L’umanità indagata per assenza, nel suo tentativo di modificare il mondo per esserci: davanti e dietro la macchina da presa, nei piccoli centri della Calabria ionica e in sala, dove lo spettatore partecipa all’attribuzione di senso, fruitore ultimo di un percorso nei quattro regni dell’anima (razionale, animale, vegetale e minerale, secondo la teoria pitagorica). La morte è uno spazio tra i capitoli, mai privo di suoni. Luogo-placenta di trasformazione e rinascita.
Dopo Il dono, Frammartino consegna al pubblico un’altra pellicola di pregio. Vicende tenere e dure, i giochi da bambini dei capretti e la metamorfosi barbara e rituale dell’abete in albero della cuccagna (in occasione della tradizionale festa della pita). Una ricerca accurata di immagini e suoni, rapite al caos assordante del mondo e ricomposte. Un linguaggio che mostra senza dire.
Tra i piani sequenza, indimenticabile la scena del cane e del camioncino! L’inquadratura oscilla come se l’occhio dell’osservatore volesse trattenere tutto ciò che accade, senza riuscirvi, mentre la processione arriva inesorabile, in caduta libera. Il regista non si perde nella contemplazione estatica del paesaggio; al contrario, costruisce una storia terrena, ancorata al suolo. Il movimento verso l’alto è destinato a scendere: dall’uomo al fumo del carbone nell’aria, e di nuovo alla cenere, alle case, ai rituali di vita e di morte. Un percorso narrativo più che poetico, che parte dalla terra e alla terra ritorna. E per quattro volte, il cuore si ferma e riparte.

Chiara Zingariello
Secondo Premio a Ring! 2010
Sezione Recensioni

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